da Micromega
Da centri di consulenza psicosanitaria per l’autodeterminazione delle donne a strutture per affossarla. È quanto sta cercando di realizzare alla Regione Lazio la neoletta Olimpia Tarzia con un’iniziativa di legge che aggira la legge nazionale e prevede un’infornata di esponenti del Movimento per la vita.
di Maria Mantello
Alla Regione Lazio è stata presentata una proposta di legge (n°21, 26 maggio 2010) per la “Riforma e riqualificazione dei consultori familiari”. Prima firmataria e relatrice è la consigliera Olimpia Tarzia, neoletta nel blocco Polverini, e che è assurta a notorietà per aver contribuito al fallimento nel 2005 del referendum per l’abrogazione della legge 40 sulla fecondazione assistita. La contestata legge che sacralizza l’embrione, e che attualmente è in smantellamento per diverse sentenze dei Tar.
L’on. Tarzia, coniugata e madre di tre figli, è insegnante di Matematica alla scuola media statale del Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II di Roma, nonché docente all’Università Europea di Roma (struttura cattolica riconosciuta dallo Stato) dove tiene corsi di Bioetica, in cui si è specializzata all’Università cattolica della capitale. Ma ancora tanti sono gli impegni didattici della signora alle dipendenze del Vaticano: corsi per suore novizie all’USMI (Unione Superiori Maggiori d’Italia), per insegnanti di religione cattolica alla Pontificia Università Lateranense, per ragazzi inseriti nei progetti per la Pastorale giovanile.
Una vita intensa, la sua, a difesa della “Vita” secondo intenti e i precetti della Chiesa curiale: per stoppare anticoncezionali e interruzione volontarie di gravidanza. E per questo è tra i fondatori del Movimento per la Vita ed è impegnata con ruoli dirigenziali anche nella Confederazione Italiana Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana. Inoltre, si è fatta paladina di quel “nuovo femminismo”, lanciato da Giovanni Paolo II, che si prefigge di soppiantare e svuotare di significato quello vero, a tutto vantaggio della riproposizione del ruolo ancillare della donna fattrice, dedita all’accudimento comunque «per natura». Perché per questo sarebbe stata “creata”. Come ribadisce anche l’ultima stesura del catechismo cattolico, curato e voluto da Giovanni Paolo II, di cui sono noti gli anatemi contro l’aborto, che non si sono arrestati neppure dinanzi alle donne rimaste incinte a seguito di stupro.
Ma, come abbiamo già ricordato all’inizio, l’accredito maggiore presso il Vaticano, Olimpia Tarzia se lo è guadagnato per aver contribuito all’affossamento del referendum contro la legge 40, mettendo in piedi l’Associazione Donne e Vita di cui è presidente e per essere stata il braccio mediatico della martellante campagna per l’astensionismo di Ruini, che ha potuto contare su questa fedelissima donna contro l’autodeterminazione delle donne per bucare al meglio gli schermi televisivi.
Una fedeltà che il cardinale riconoscente premiava, anche delegandola a rappresentare la Diocesi di Roma in due importanti occasioni: il Convegno Ecclesiale della Chiesa italiana del 2006; la Settimana sociale dei cattolici italiani del 2007.
Adesso che la Tarzia ricopre lo scranno di consigliera alla Regione Lazio, ha ripreso alacremente le sue crociate. E a essere messi in croce, stavolta, saranno i Consultori.
Prima di lei ci aveva provato già Francesco Storace ai tempi del suo governatorato alla Regione Lazio, e che adesso compare tra i firmatari eccellenti della proposta Tarzia.
I Consultori familiari sono strutture pubbliche territoriali del servizio sanitario nazionale, di cui le Regioni hanno la gestione. Essi sono nati con la legge 405 del 29 luglio 1975. Una legge chiara ed essenziale nei sui brevissimi 8 articoli. Sorta di Manifesto laico di democratizzazione socio-sanitaria, si prefigge di sostenere: «il singolo», «la coppia», «la famiglia» «per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile nel rispetto delle convinzioni etiche e dell’integrità fisica degli utenti». Sulla base quindi del rispetto delle pluralistiche visioni del mondo di ciascuno, i Consultori non possono essere strutture eticamente preordinate (come invece la Tarzia vorrebbe), bensì di informazione, consulenza e sostegno alle scelte che ognuno ha il diritto di compiere. In questa prospettiva, continua sempre la legge 405, essi forniscono un «servizio di assistenza alla famiglia e alla maternità»; «per la preparazione alla maternità ed alla paternità responsabile», dando «informazioni idonee a promuovere, ovvero a prevenire la gravidanza, consigliando i metodi ed i farmaci adatti a ciascun caso».
Una legge, quindi, dalla parte dell’autodeterminazione delle donne. Per una società più giusta. Più libera. Più democratica. Perché più laica.
Negli anni Settanta: divorzio, nuovo diritto di famiglia, parità sul lavoro, erano il frutto anche e soprattutto di quella rivoluzione copernicana che il femminismo andava operando, proprio aggredendo la stereotipia sessisa.dei ruoli. Nel privato e nel collettivo. Anche il tabù della maternità come condanna era allora contestato e messo in crisi. E il motto: «Io sono mia!», gridato in tante manifestazioni, era l’emblema di quel riappropriarsi di sé, che vedeva nei Consultori un punto di riferimento importante per le donne per avere informazioni e assistenza sanitaria su sessualità, metodi contraccettivi, cure per la sterilità. Per avere, se necessario, le certificazioni previste per l’interruzione volontaria della gravidanza.
Certamente le difficoltà non sono mancate. Basti pensare che in alcune aree geografiche, soprattutto del meridione, i Consultori non sono mai veramente decollati. Del resto nel nostro Paese è persistita fino a pochi decenni fa una mentalità che riteneva disdicevole finanche parlare di sesso e per la quale la visita ostetrico-ginecologica era considerata normale solo per partorire. Un Paese, dove fino al 1968 le donne potevano essere sbattute in galera per adulterio. Dove il delitto d’onore è stato abrogato solo nel 1982. E la violenza sessuale sulle donne è reato contro la persona, appena dal 1996. Prima era «oltraggio alla pubblica morale». Come se il corpo della donna, le sue parti più intime fossero proprietà collettiva e il loro controllo un problema di ordine pubblico.
Certamente i Consultori hanno contribuito a far conquistare alle donne la consapevolezza dell’importanza di gestire la propria utonomia. Quell’autonomia che adesso la proposta di legge Tarzia vuole soffocare per ancorare la donna ad un modello precettistico. Così, cercando di aggirare la legge nazionale, la sua proposta di legge alla Regione Lazio dichiara fin dall’introduzione, che i Consultori debbono trasformarsi in «istituzioni vocate a sostenere e promuovere la famiglia ed i valori etici di cui essa è portatrice». Perché «la Regione tutela la vita nascente ed il figlio concepito come membro della famiglia» (art. 1). Una Regione poliziesca dunque. Da Stato etico. Quello che l’Italia ha conosciuto col fascismo.
E come fa la Regione a vigilare che i Consultori divengano finalmente «istituzioni vocate a sostenere e promuovere la famiglia ed i valori etici di cui essa è portatrice»?
Eccolo l’imbroglio, non riuscito a suo tempo a Storace: accreditare nelle strutture pubbliche regionali i fondamentalisti della vita, che, si badi bene, potranno anche istituire propri consultori «per il principio di sussidiarietà» (art. 39). Così potranno finalmente essere legittimati ad esercitare la loro azione nelle strutture pubbliche statali e in quelle pubbliche private. E con i soldi pubblici.
Ma c’è dell’altro. Onde evitare che qualche ginecologo, ostetrico, psicologo, sociologo, ecc. che opera attualmente nei Consultori si ostini ad essere laicamente rispettoso delle plurali visioni del mondo (come stabilisce la legge nazionale del 1975) è prevista un’infornata di super vigilantes, inquadrati nella figura dirigenziale del «consulente familiare per l’accoglienza e il coordinamento degli interventi» (art.16).
Non è difficile intuire da quali ambiti fortemente caratterizzati ideologicamente sbucheranno questi “consulenti familiari” con cui chiunque e a qualsiasi titolo si rivolga al Consultorio dovrà imbattersi, visto che sono «addetti all’accoglienza». Ma con cui dovranno fare i conti i professionisti sociosanitari del Consultorio, che dovranno essere da loro coordinati. Professionisti che per altro –come si legge all’art. 14 della proposta Tarzia- devono ricordare alla donna «il suo dovere morale di collaborare nel tentativo di superare le difficoltà che l’hanno indotta a chiedere la interruzione volontaria della gravidanza».
Una bella guerra psicologica attende le donne che vogliano rivolgersi ai “nuovi consultori”! Col risultato che essi verranno disertati.
Ma può una legge regionale stravolgere una legge nazionale?
(6 settembre 2010)