Mentre nel Lazio e altre regioni le donne bloccano la legge Tarzia, leggi simili sono approvate con delibera comunale, o in altre regioni. Condividiamo un articolo
di Laura Agrò, Annalisa Lusuardi, Chiara Morgotti, Giulia Paltrinieri, Rina Zardetto, Silvano Iotti, Maurizio Giannone, Piergiuseppe Manicardi, Gianni Tasselli
Prima di intervenire abbiamo letto con attenzione la deliberazione della Giunta Comunale di Correggio, comune di circa 26mila abitanti in provincia di Reggio Emilia. L’ oggetto della delibera è l’approvazione del protocollo di intesa tra Comune di Correggio, Servizi Sociali, AUSL, Movimento per la Vita, Caritas e Croce Rossa per un progetto sperimentale a sostegno della maternità.
Molte donne avevano facilmente previsto che la sconfitta del referendum abrogativo della Lg. 40/2004 (legge sulla procreazione medicalmente assistita) avrebbe portato ad una nuova, più arrogante, offensiva sull’aborto. Da alcuni anni, la chiesa cattolica, con l’appoggio determinante dei partiti di centrodestra e di alcuni pezzi del centrosinistra, non perde giorno ed occasione per portare avanti la sua campagna politica contro la L. 194/78 (legge sulla interruzione volontaria di gravidanza), identificata come strumento simbolo dell’autodeterminazione femminile in campo procreativo.
L’attacco alla 194, partito già nel 2008, è poi preseguito con un’escalation senza precedenti: dal tentativo di bloccare l’introduzione della pillola RU486 all’obiezione di coscienza dei farmacisti per la vendita della cosiddetta “pillola del giorno dopo” alla pretesa di svuotare completamente di senso i consultori, istituzionalizzando l’ingresso dei volontari del Movimento per la vita.
A Correggio, con questa delibera apripista, ci sono arrivati.
La legge sull’interruzione di gravidanza fu approvata negli anni Settanta, grazie ad un’alta mediazione tra sinistra parlamentare, forze cattoliche progressiste e movimento delle donne. Nei decenni, grazie al lavoro di informazione e di prevenzione svolto attraverso i consultori, le interruzioni sono diminuite in maniera sensibile. I dati si conoscono già (NdR. della questioni ci siamo già occupati con l’articolo di Monica Donini Giù le mani dai consultori, pubblicato su Piovono Pietre il 22 febbraio scorso). Non c’è dunque alcun bisogno di commissioni d’inchiesta.
C’è invece un forte bisogno di personale laico per i consultori, che da anni necessitano di figure qualificate, che spesso sono trasformati in poliambulatori, snaturandone il senso e togliendo loro quella specificità che li aveva resi un luogo importante per la salute fisica e psicologica delle donne.
Cancellare la legge come vorrebbero i settori più oltranzisti, o neutralizzarla definitivamente, puntando a depontenziare compiti e funzioni dei consultori riempendoli di associazioni antiabortiste, come previsto dalla delibera della giunta correggese – con l’avallo dell’ex assessore provinciale Marcello Stecco – vorrebbe dire fare i consultori luoghi di colpevolizzazione delle donne, anziché di aiuto. La legge 194 ha contribuito fortemente alla civilizzazione delle relazioni umane, oltre che sociali e giuridiche, tra i sessi. Non è possibile e non è giusto tornare indietro.
Ci chiediamo: non era forse opportuno che la giunta predisponesse linee guida da portare al dibattito in consiglio comunale, coinvolgendo prima i movimenti delle donne, oltre che ai vari organismi istituzionali, e anche le forze della maggioranza non presenti in consiglio ma che hanno sostenuto l’attuale Sindaco? Un forte dibattito sulla questione era ed è necessario e non può risolversi in una delibera di Giunta senza confronti né interlocuzioni altre.
Noi siamo per la piena applicazione della legge, per cui siamo d’accordo nella valutazione degli ostacoli di tipo economico che potrebbero essere in alcuni casi la causa della scelta, ma, proprio per questo, la figura professionale – che è quella prevista dalla legge – è e deve rimanere l’assistente sociale, figura qualificata e titolata a fornire le indicazioni su quali aiuti esistono e a chi rivolgersi per rimuovere le cause di impedimento.
Poi, diciamoci la verità, come noi facciamo da anni: o si applicano condizioni lavorative, sociali, economiche, che aiutino la scelta consapevole della maternità, altrimenti ci si riempie la bocca di un po’ di “carità”. Legge 30, contratti sempre più precari, lettere di “dimissioni” che giovani donne sono obbligate a firmare di rinuncia alla maternità per poter essere assunte, asili nido pochi e costosi, un welfare che era un occhio all’occhiello in questa regione ora attraverso i comuni sempre di più al privato sociale in tutti i settori… tutto questo costituisce un reale ostacolo alla maternità consapevole.
Ci dispiace doverlo constatare, ma davvero c’è un deficit abissale di pensiero critico e di passione civile.
Ossia i pilastri su cui misurare e praticare percorsi di emancipazione e di liberazione, di dialogo e di scambio, di solidarietà tra diversi, che cambino lo stato di cose esistenti. La lezione che ci viene data dalla storia è che il piano delle rappresentazioni simboliche e quello giuridico sono entrambi continuamente coinvolti nell’irregimentazione dei comportamenti sociali. Il controcanto sono la cultura e l’etica delle donne.
Non si può essere ipocriti, non si può voler neutralizzare la 194 e, al tempo stesso, non preoccuparsi della guerra che uccide!